Cibo da spiaggia
Chiudete gli occhi e immaginate: la sabbia calda sotto i vostri piedi, azzurro a perdita d’occhio, la linea dell’orizzonte che sfuma tra cielo e mare, il delicato fruscio delle piante della macchia mediterranea che sembrano danzare accarezzate dal vento sulle dune e un intenso, penetrante, familiare profumo di parmigiana di melanzane. Se lo preferite di pasta al forno o zucchine ripiene, non c’è alcuna incongruenza, sono sempre spuntini perfettamente contestualizzabili.
Potremmo essere in una qualsiasi spiaggia della Puglia, della Calabria o della Sicilia, in quel Sud dove il cibo è una religione e non c’è temperatura desertica che possa impedire di gustare frittura ed insaccati in riva al mare. Se prestate un po’ di attenzione vi renderete conto che le borse frigo per il pranzo al sacco in spiaggia aumentano prepotentemente di dimensione scendendo verso le coste meridionali. La “schiscetta milanese” (pasto completo per il lombardo a Cattolica) a Bari serve solo per contenere le zucchine fritte di contorno.
Il giorno prediletto per il desinare in riva al mare è di solito la Domenica, quando gli ombrelloni si susseguono uno accanto all’altro lasciando poco spazio vitale e tanta convivialità forzata. La pianificazione della famiglia che decide di mangiare in spiaggia ha inizio solitamente il pomeriggio del sabato, dedicato alla preparazione dei piatti più complessi (leggi pasta al forno, parmigiana, zucchine ripiene, focacce, arancini di riso, gattò di patate, torte salate) e alla scelta delle bibite da mettere in fresco (per lo più birre ed acqua). Riempite borse frigo, grandi quanto un bagaglio a mano, e zaini si è pronti per affrontare un’intera giornata sotto il solleone. La mattina del giorno prescelto è necessario arrivare in spiaggia molto presto per piantare l’ombrellone a ridosso della battigia, il motivo è solitamente uno: avere il controllo dell’anguria lasciata a bagno al fresco nell’acqua di mare; i professionisti l’adagiano in un sacchetto di plastica agganciato dai manici al bastone di un retino affondato nella sabbia, così da avere la certezza che non venga trascinata dalla corrente. Ipotesi in ogni caso remota considerato che il peso si aggira sempre non al di sotto dei 10 chili, in caso contrario si desiste dall’acquisto.
(nella foto: La pampanella)
Giunta l’ora del pranzo tutti i componenti della famiglia o gli amici si ritrovano sotto l’ombrellone dove il cibo è stato custodito all’ombra, pochi minuti ed inizia un passaggio veloce di piatti in plastica, forchettine, bicchieri, bottiglie, teglie, lattine, contenitori e tovaglioli. In quello stesso momento dai lettini e dalle sdraio vicini giungono sguardi di disapprovazione e fastidio, misti a languidi sorrisi che sottendono un solo messaggio “non so cosa darei per una fettina di quella frittata di cipolle ed una birra ghiacciata”.
Ho trascorso tutte le estati della mia vita osservando e partecipando a queste pittoresche e meravigliose dinamiche sulle spiagge pugliesi e sono giunta a una conclusione: anche il bagnante più snob cede al fascino dell’unto in spiaggia, non quello dell’olio abbronzante, ma quello dell’extravergine che gronda dalla focaccia barese. Il sapore della trasgressione al salutismo a tutti i costi è troppo forte, lo hanno capito anche bar e chioschetti della litoranea salentina. E’ facile trovare negli espositori, accanto ai tristi panini e alle scondite insalate, teglie d’asporto di riso patate e cozze, kit per preparare frise “on the road”, fritture di pesce o crudi di mare (solo nei lidi più chic), combinazioni di pasta fredda e tanta frutta tagliata e pronta da mangiare.
Poche volte sono riuscita ad organizzare meticolosamente una borsa frigo da digestione memorabile, in compenso sono bravissima a suscitare benevolenza e riesco sempre a farmi offrire vettovaglie da pranzo delle feste da magnanimi bagnanti, lasciando il panino integrale con il prosciutto cotto a surriscaldarsi nella borsa di paglia con la bottiglietta d’acqua calda già prima che stenda l’asciugamano.