Conquistare un uomo a tavola
Se cercate “Ricette per conquistare un uomo a tavola” su Google troverete consigli di cuochi e opinionisti vari che vi daranno ognuno la sua ricetta segreta, che spesso è un mix delle stesse cose: buona musica di sottofondo, tanti antipasti, vino per sciogliersi un po’.
Il resto è un po’ surreale e soprattutto serve a poco perché sottovaluta il punto di partenza: la donna (o l’uomo) che fa questa ricerca è nel panico totale, è spesso poco creativo in cucina o con poca manualità e la sua razionalità è già a brandelli perché è solamente cotto – mi permetterete questa metafora, visto il contesto – di lui / lei.
Il mio consiglio è quindi in realtà l’opposto: spegnete Google e chiamate la mamma. Il vero amore ha l’odore del cibo di casa, avrete più probabilità di saper cucinare un piatto che avete mangiato per anni e potrete farcirlo con aneddoti più o meno divertenti. Cucinare quindi dei piatti rassicuranti: io ho sempre fatto così, ma ho sbagliato qualcosa.
D. mi piaceva moltissimo, e a distanza di anni non capisco come: era basso, magrolino, già calvo nonostante i suoi 24 anni, livoroso. Lo invitai a pranzo con la scusa di farmi dare una mano per l’indice della mia tesi di laurea: era agosto, indossavo un pareo semitrasparente e avevo deciso di cucinare una cosa semplice e leggera. Una moussaka. La ricetta era quella testatissima di mia zia Paola: la moussaka, per chi non lo sapesse, è un attentato alle coronarie in forma di timballo di ragù, melanzane fritte e besciamella. Due giorni per prepararlo, trenta per digerirlo. D. non l’aveva mai mangiata: ricordo la sua perplessità quando gli spiegai la ricetta, ma coraggiosamente mangiò la mega porzione che gli avevo servito. Io e D. non ci baciammo mai: quel giorno sistemò l’indice con sguardo vagamente allucinato. Non digerì mai più.
Con M. organizzai un pic-nic: avevamo già avuto un incontro che era andato molto bene, e questo era il nostro secondo appuntamento. Sarebbe passato a prendermi col suo furgoncino, avrebbe portato il vino e io avrei pensato al cibo: poi saremmo stati io, lui, una coperta e le stelle di Bologna. Tre giorni prima, un po’ nel panico, cominciai a chiedere a chiunque una ricetta adatta per un pic-nic: avevo diversi amici che mi volevano sistemata, e furono tutti gentilissimi. Mi suggerirono di preparare diversi antipasti (come da manuale), e così feci: cucinai per due giorni preparando una decina di ricette. Spiedini di frutta, cous cous, pasta fredda, pollo marinato, tartufi di formaggio, parmigiana fredda. Quando mi venne a prendere, scesi con lo stomaco in subbuglio e una gigantesca borsa frigo: quella cena non andò benissimo e anche M. scomparve, verso appuntamenti più light. Con F. ho convissuto prima ancora di innamorarmene: era il mio coinquilino in una casa di tre lavoratori, e capitava spesso di mangiare insieme. Quando ho capito che quell’uomo mi piaceva e anche tanto, ho cominciato a cucinare piatti più complessi sperando di destare la sua attenzione, finché una domenica decisi che lo avrei ammaliato col timballo di pasta di mia nonna, che prevedeva pasta, mozzarella, melanzane fritte e un’altra decina di ingredienti. La ricetta prevede una preparazione di circa 12 ore in modo che tutti gli ingredienti siano cotti e assemblati poi per realizzare il piatto finale. Quel giorno decisi di cuocere nel forno a microonde (sottotitolo: non so perché), e misi il contenitore di ceramica con tutti gli ingredienti nel forno: F. aspettava famelico, mentre il timballo cuoceva. A un certo punto, nel mezzo della chiacchiera, sentiamo distintamente un CRAC: apro il forno, e la cocotte in ceramica si era aperta in due, crepandosi rovinosamente. Mentre guardavo il timballo e pensavo “ecco un altro amore impossibile”, F. tirò fuori la cocotte, eliminò i pezzi di ceramica che si erano mescolati alla pasta, prese due piatti e mi invitò a pranzo: “male che va mangeremo un po’ di ceramica, ma che male vuoi che faccia?”. Io e F. ci siamo sposati, non ho ancora capito come funziona il microonde e ora cucina quasi solo lui.