Il cibo ai tempi dell’Università

Mariachiara Montera – Maricler

 

Mariachiara Montera – Maricler

Il primo anno di Università lo ricordo in cucina.
Anche il secondo, a dire il vero, ma con una presenza più modesta perché competevo con un pugliese e una romagnola.

Faccio una premessa: sono nata in provincia di Salerno, nella terra delle mozzarelle, della parmigiana, dei sciurilli (i fiori di zucca) fritti, degli struffoli e del babà. Capirete che con questo curriculum la traversata Salerno – Bologna, dove avevo scelto di studiare, non poteva passare inosservata.

Arrivai quindi a Bologna con due elementi di sicuro imbarazzo: un montone, appartenuto a mia nonna, ingombrante e un filo poco consono a un outfit da studentessa ventenne ma indispensabile per sopravvivere al freddo nord, e, per marcare la scia alla Volevam Savuar, portai con me un freezer. Era un congelatore verticale, tre ripiani, bianco, tutto per me.
Momentaneamente vuoto, ma preallertato dalle minacce di mia madre che temeva per la mia alimentazione.

Il suo piano d’attacco era chiaro: non permettere a nessuno e a niente che la sua morbida figlioletta ventenne si sciupasse o perdesse l’appetito, staccando così quel cordone ombelicale col frigo di casa costruito con amore e cucchiaiate di sugna.
Il primo comandamento era costruito: avrei continuato a mangiare le salsicce della nonna e il maiale del contadino vicino di casa, mi avrebbero spedito il miele, i peperoni dell’orto, il caciocavallo con interno di salame (giuro, esiste) e altre prelibatezze comprese tra le 1000 e le 9000 kcalorie al morso.

La mia identità da matricola si compromise così abbastanza in fretta: ero quella che aveva cercato casa in funzione dello spazio per il freezer e che in un’anta dell’armadio aveva le confezioni da 24 di pelati perché – ma come è possibile - la casa che avevo trovato non aveva una cantina.

Bastarono pochi mesi per far circolare voce e pacchetti di ciccioli tra i miei nuovi amici dell’Università, così la cucina di quella casa nella prima periferia di Bologna diventò presto un luogo di sperimentazioni culinarie finalizzate a sfamarli, certo, ma soprattutto a confermare le credenziali di Vera Donna Del Sud Con Dieci Chili Di Salsiccia Nel Freezer E Nessuna Paura Di Usarli.

La verità, però, è che non sapevo cucinare: a parte alcune verdure arrostite, e la pasta al pomodoro non sapevo fare altro. Ma, come chiunque sa, esiste una risorsa tra i fornelli che nasconde ogni inesattezza, pecca e dimenticanza: il grasso. Che sia olio abbondante, allure di maiale o burro, il grasso dona sapore e carattere alla più triste della zucchina invernale.
Diventai campionessa mondiale di alcune tra le nefandezze più additabili che possiate immaginare: usavo i funghi sottolio per preparare il sugo, soffriggevo la salsiccia stagionata nel burro per condirla con piselli e panna, avevo imparato a fare la doppia panatura per la cotoletta. Preparavo frittate per quattro persone usando dieci uova e mezzo litro di latte. Imbottivo alacremente peperoni con pane, olive, acciughe e olio.

Quell’anno ovviamente non sono più rientrata nei miei jeans, e ancora oggi alcune di quelle persone temono un invito a cena da parte mia.
Col tempo ho cambiato abitudini, ma il freezer è ancora qui con me: mi ha seguito in ogni casa e in ogni città, l’ho dipinto con una vernice color lavagna e spesso è pieno di verdure. Mia madre mi spedisce ancora salsicce ma ho imparato la lezione: “le salsicce stagionate non si friggono nello strutto ma si mangiano a fette”. O così dicono.

è opportuno seguire una dieta variata ed un corretto stile di vita