La merenda della ricreazione
Settembre e il ritorno a scuola, mese di assalti alle cartolerie per gli ultimi acquisti di libri e materiale di cancelleria, pomeriggi trascorsi a terminare i compiti delle vacanze e scopiazzare gli esercizi di matematica dal compagno “secchione”, a cui si telefona dopo tre mesi ostentando falso entusiasmo. Settembre è il mese delle campanelle che segnano l’inizio di un nuovo anno scolastico, di ricreazioni attese con spasmodica impazienza per potersi raccontare le avventure estive: i giochi in spiaggia per i bambini delle elementari, le scorribande per i ragazzini delle medie e i primi amori per gli adolescenti del liceo.
Ed è proprio sulla ricreazione che mi voglio concentrare, ma non per analizzare le interazioni tra gli scolari bensì per passare in rassegna i cestini delle merende, in un cambiamento che dal dopoguerra a oggi potrebbe benissimo rappresentare lo specchio dei tempi. Chiacchierando con i miei genitori ho scoperto che nelle loro cartelle di cartone, insieme a due libri e due quaderni, campeggiava di solito un tocco di pane fatto in casa, una volta a settimana accompagnato dal formaggio acquistato (o barattato) alla masseria della contrada vicina. Due morsi fugaci e poi di corsa in cortile a giocare, prima di tornare al dettato e alle tabelline, seduti dietro quei banchi che oggi è possibile vedere solo nei piccoli musei di paesi sperduti in tutta Italia.
Inutile ribadire come dagli anni ’60 ad oggi siano cambiate tantissime cose, sorprende constatare l’attuale ritorno alle origini dopo il periodo della generazione BIM BUM BAM, a cui appartengo anch’io. Sono passati più di quarant’anni dall’avvento delle “brioss”, le merendine confezionate che hanno segnato l’inizio di una vera e propria rivoluzione culturale: le donne/mamme hanno iniziato a lavorare ed è stato quasi un grido d’indipendenza sostituire i dolci fatti in casa con quelli facilmente acquistabili. Così fino agli anni ’90 si sono vissute ricreazioni, soprattutto nelle scuole elementari e medie, al sapore di cioccolato, pan di spagna, vaniglia, crema e marmellata. Inequivocabile lo scoppio del cellophane nelle classi, pochi morsi per finire la merendina e dedicare il tempo rimanente allo scambio delle sorprese in regalo nelle confezioni, doppioni preziosi come un tesoro per completare le collezioni. In quegli stessi anni anch’io con il grembiulino bianco aprivo lo zaino fucsia e tiravo fuori la merenda, diversa da quella che consumavano la maggior parte dei miei compagni.
C’era chi a otto anni osava ancora di più: panino al latte imbottito con la giardiniera di sottaceti o gattò di patate con la mortadella. Bombe caloriche capaci di annientare chiunque, ma non ragazzini pronti a smaltire tutto vagando per i corridoi e in cortile, improvvisando giochi motori senza regole se non corse scoordinate.
Oggi nelle scuole l’atmosfera è completamente diversa, si respira aria di salutismo, di apporto calorico controllato e di future tendenze macrobiotiche. Senza cadere negli eccessi è tutto giustificato e doveroso, purtroppo sono aumentati i pretesti di sedentarietà, non si gioca più a palla nei cortili e durante la ricreazione grassi e carboidrati sono stati sostituiti da frutta (mele, carote e agrumi i più gettonati) e dolci bilanciati.
Ho conosciuto bambini che nella loro innocenza sciorinavano tabelle caloriche come fossero sigle dei cartoni animati. Sarà che non sono ancora pronta ad accettare l’inversione di tendenza, lo farò pian piano, nel dubbio la pausa lavoro del mattino continuo a farla alle 10:15 immaginando il suono della campanella, addentando una michetta, quando possibile.